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E Noi Faremo come l'America


 La crisi finanziaria, che in Europa si è poi trasformata in crisi del debito sovrano, è stata affrontata in maniera diversa dagli Stati Uniti d’America e dall'Europa.

L’amministrazione statunitense ha adottato misure che prevedevano, dopo il salvataggio delle banche “buone” e il fallimento di quelle “cattive”, di efficientare il sistema finanziario nel suo insieme. È subito seguita una forte iniezione di liquidità, che ha permesso di finanziare le imprese, liquidità vincolata alla ripresa economica e produttiva, con meccanismi che prevedevano il rientro nelle casse dello Stato di parte degli interventi effettuati.

Si sono introdotte politiche di effettivo sostegno industriale, che hanno reso possibile, tra l'altro, anche il rientro di aziende statunitensi, attraverso politiche fiscali di attrazione degli investimenti. Infine, attraverso il braccio di ferro con i repubblicani, Obama ha ottenuto lo sforamento del fiscal cliff, per permettere all'economia americana di proseguire nel suo cammino verso la crescita e la ripresa.

I dati economici americani prevedono che il 2014 sarà l'anno migliore per l'economia statunitense dall'epoca di Clinton: la crescita si attesterà tra il 2,8 e il 3 per cento; la disoccupazione tra il 6,1 e il 6,3 per cento. I tassi sono al minimo storico, tra lo 0 e lo 0,25 per cento nel breve termine, e non si intende aumentarli per supportare la ripresa. I consumi aumentano perché la gente ha ripreso ad acquistare. Ciò grazie ai pacchetti di stimolo all'economia, al salvataggio dell'industria automobilistica, alla rimessa in ordine del sistema finanziario con risorse pubbliche, stampando moneta senza paura di andare incontro all'inflazione, a interventi sui titoli di Stato, riportando in stabilità il mercato immobiliare dopo il crack dei mutui subprime. E ciò ha dato i suoi frutti.

In particolare, l'aver evitato il fallimento dell'industria automobilistica, è stato il primo passo per il rilancio del settore manifatturiero, con l'obiettivo di ricreare una classe media di white e blue collar, attraverso il “made in USA” per l'esportazione, grazie anche al dollaro debole, più competitivo rispetto all'euro. Bisogna inoltre considerare il boom energetico, dato dall'aumento della produzione interna di greggio e di gas, che rappresenta un vantaggio per tutti i produttori. Mentre da ultimo, va sottolineato il dato degli investimenti privati nella ricerca tecnologica. Il 70% è nel settore manifatturiero, che ha prodotto la stragrande maggioranza di brevetti. Tutto ciò si stima possa portare alla creazione di 5 milioni di nuovi posti di lavoro entro il 2020, proprio nel manifatturiero. Insomma, quello di Obama è stato un vero Jobs Act, a differenza dell’elenco di titoli presentato in Italia dal premier Renzi.

Pur avendone i repubblicani impedito l’approvazione, i singoli provvedimenti di quel piano hanno prodotto risultati importanti. Già da questi dati risulta evidente la differenza con le misure intraprese dall'Europa per far fronte alla crisi.

Nel Vecchio Continente, con il Fondo salva Stati e con gli acquisti della Bce, si sono salvate tutte le banche, e i costi sono stati scaricati sull'economia reale e quindi sulle imprese e sui lavoratori. Non solo. La prima preoccupazione dell'Europa è stata quella di riportare in ordine i conti pubblici attraverso l'austerità. Quindi, un approccio diametralmente opposto a quello perseguito da Obama. L'austerità di questi anni non ha risolto il problema del debito e del deficit, che in alcuni casi sono addirittura aumentati, perché l'economia europea è entrata tecnicamente in recessione. In più, in Europa nessuna forza politica in questi anni ha esplicitamente proposto politiche alternative all'austerità. Solo alcuni sindacati nazionali, e tra questi la Cgil, e la Confederazione europea dei sindacati, si sono opposti chiaramente a queste politiche, il cui fallimento oggi è chiaro a tutti, a partire dallo stesso presidente Usa, per proseguire con il Fondo monetario internazionale e l'Ocse. Solo la Commissione europea, forse perché in scadenza di mandato e quindi non in grado di fare autocritica, continua su questo binario morto.

L'austerità è fallita perché, generando minore crescita e imponendo (anche costituzionalmente) bilanci in pareggio, ha fatto aumentare il debito e i deficit. In recessione, ci dice Obama, conti pubblici in ordine e stabilità si ottengono con la crescita economica. Senza dimenticare che le politiche di austerità imposte dalla Troika, gli aggiustamenti strutturali, le privatizzazioni, hanno avuto come conseguenza privazioni insostenibili per milioni di cittadini. In molti paesi la disoccupazione e l'occupazione precaria hanno toccato livelli altissimi. Il Pil in Italia ha perso 10 punti dal 2007, mentre in Europa siamo tecnicamente in recessione. E si apre inoltre un enorme problema di carattere democratico: la Commissione ha mostrato di non tenere in alcuna considerazione la sorte di milioni di cittadini e lavoratori europei, e ci si dovrebbe chiedere quale legittimazione democratica abbia la Troika e i suoi programmi di risanamento.

Per queste ragioni è necessaria un'Europa diversa, con politiche economiche espansive e di difesa del modello sociale europeo; quel modello basato sul welfare, la protezione sociale, la contrattazione collettiva, che è stato alla base del successo economico del nostro continente e che gli altri ci hanno sempre invidiato.

In questi anni, molti sindacati nazionali hanno provato a proporre ipotesi di rilancio dell’idea di Europa sociale. Pensiamo al Piano Marshall per l'Europa del sindacato tedesco Dgb, ad altri piani simili dei sindacati spagnoli e nordici, al Piano del lavoro della Cgil, tutti con lo stesso obiettivo: proporre un'idea diversa di Europa, basata sulla crescita e non sull'austerità. E la Confederazione europea dei sindacati ha avuto il merito di arrivare a una mediazione possibile tra tutte queste proposte, basate su impostazioni, modelli, culture differenti, nel proporre “un nuovo corso per l'Europa”, un piano straordinario di investimenti, una prospettiva di lungo termine per una crescita sostenibile, a cui destinare il 2 per cento annuo del Pil dell'Unione per 10 anni. Ciò avrebbe anche il merito di stimolare investimenti privati e di intraprendere misure di modernizzazione su vasta scala, contribuendo a costruire una solida base industriale, buoni ed efficienti servizi pubblici, un welfare inclusivo, interventi su istruzione, formazione e ricerca.

Mille miliardi di euro sono serviti a salvare il settore finanziario. Altrettanti vengono persi a causa dell'evasione e delle frodi fiscali. Ora è arrivato il momento di spendere 250 miliardi di euro per l'occupazione e la crescita sostenibile. In questo ambito si colloca anche la proposta di “New deal for Europe”, sostenuta dal Movimento federalista europeo e da una rete di associazioni, tra cui anche i sindacati confederali italiani, per una politica industriale e di sviluppo, attraverso il nuovo strumento previsto dal Trattato europeo, l'Iniziativa dei cittadini europei, che prevede la raccolta di un milione di firme, per impegnare le istituzioni europee ad azioni concrete per lo sviluppo e l'occupazione. Le risorse possono essere reperite anche attraverso una tassa sulle transazioni finanziarie o sulle emissioni di carbonio.

La grande manifestazione del 4 aprile scorso a Bruxelles, indetta dalla Ces a sostegno del suo piano, e per diffonderne i contenuti nell'opinione pubblica, ha voluto proprio fare appello ai cittadini e ai candidati alle prossime elezioni per il Parlamento europeo, affinché sostengano l'iniziativa del sindacato europeo. Tutto ciò ha bisogno anche di una democratizzazione delle istituzioni europee, di uno spostamento di poteri verso il Parlamento, di trasparenza nel processo decisionale.

Il passaggio delle elezioni del 25 maggio è fondamentale per provare ad arginare le spinte antieuropee di quei partiti e movimenti che sono contrari all'Europa e alla moneta unica. Il tentativo della Ces è anche quello di sostenere quei candidati che promuovono l'idea di un'Europa progressista e inclusiva, che condividono la sua strategia alternativa. Un'Europa dei diritti, che realizzi davvero un nuovo corso per tutti, a partire dai giovani, fino ad arrivare ai lavoratori, ai disoccupati, ai pensionati.

Giulia Barbucci e Fausto Durante

Articolo del 19/05/2014

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