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Ecco come la Corruzione Frena l'Italia


 Lo scandalo Expo 2015 e le ancora più recenti vicende legate al Mose di Venezia hanno contribuito a ricordarci, semmai ce ne fosse bisogno, la drammatica attualità della questione corruzione in Italia. I numeri stimati lasciano poco spazio all’interpretazione. Per l’Expo 2015 si parla di un milione di euro di tangenti e dall’inchiesta sul Mose risulta che i costi stimati sono aumentati dal 2003 di circa il 60 per cento, da 3.441 a 5.493 milioni di euro.

Lo Stato ha finora versato circa 1.250 milioni di euro per finanziare il progetto, ma di questi soltanto il 50% sembra sia stato effettivamente usato per finanziare opere. Il restante rischia di essere il più pesante trasferimento indebito di risorse pubbliche a privati mai visto nel nostro paese.

Questi primi numeri sono sufficienti per far capire che la corruzione non rappresenta un problema soltanto dal punto di vista etico, e non a caso la Banca Mondiale considera questo fenomeno come uno dei principali ostacoli allo sviluppo economico e sociale. Diventa quindi importante cercare di comprendere cosa si intende per corruzione, capire come possiamo tentare di misurarne la diffusione e provare a interpretare in modo critico il ritratto che emerge da questi numeri. La corruzione intesa in senso lato si può definire come l’utilizzo improprio di denaro pubblico per vantaggi privati.

Il fenomeno corruttivo non è facilmente tracciabile, perché la natura illegale e sommersa delle transazioni a esso legate rende la produzione di dati sistematici particolarmente difficile. A oggi, gli indicatori creati per la valutazione dei costi e della pervasività del fenomeno si possono raggruppare in tre tipologie. Il numero di denunce e/o condanne rappresenta una prima misura, che però cattura soltanto la corruzione emersa ed è influenzata da molti fattori, quali l’efficienza del sistema giudiziario, le norme sociali e i valori culturali e, in generale, il grado di tolleranza verso il fenomeno.

Una seconda tipologia di indicatori (come il Global corruption barometer) è quello che si basa su indagini campionarie costruite per fornire il numero di soggetti che dichiara di aver pagato tangenti o di essere stato concusso. L’ammontare e la frequenza di tangenti pagate possono costituire una misura dei costi diretti della corruzione e permettono di stimare in qualche modo l’ampiezza del fenomeno sommerso. È importante sottolineare però che i costi diretti costituiscono solo una quota dei costi economici e sociali complessivi associati alla corruzione. Che ha pesanti effetti negativi sulla concorrenza, riduce gli incentivi a investire e innovare, mina il grado di fiducia nelle istituzioni. Nel complesso, i processi di produzione, distribuzione, crescita e sviluppo sono fortemente rallentati in contesti in cui la corruzione è molto diffusa.

La corruzione diminuisce la quantità e la qualità dei servizi pubblici in settori strategici quali sanità e istruzione, e questo può amplificare le diseguaglianze sociali. Va anche puntualizzato che le dinamiche corruttive possono trovare terreno fertile in società caratterizzate da alte disuguaglianze. Una terza misura che può in qualche modo registrare il peso diretto e indiretto della corruzione è quella basata sulla percezione della corruzione.

Anche se il livello di corruzione percepita non necessariamente rispecchia il livello effettivo del fenomeno, capire come si forma tale percezione può fornire importanti informazioni. In una realtà globale fortemente interconnessa, un paese percepito come altamente corrotto dalla business community potrebbe, quanto meno, essere fortemente penalizzato sul versante degli investimenti esteri con evidenti ricadute negative sull’economia nazionale.

Un esame di queste tre misure della corruzione segnala una situazione piuttosto anomala per l’Italia. Il nostro paese non sembra infatti essere in una posizione particolarmente critica se si valutano il numero di denunce e condanne (il cui andamento risulta addirittura decrescente dal 1996 al 2009) e la percentuale di soggetti che dichiara di avere pagato tangenti, che risulta essere del 13 per cento, di poco superiore alla media europea dell’11. Ciononostante, il livello di corruzione percepito è molto elevato. Il Corruption perception index (Cpi) prodotto da Transparency International è disponibile per 177 paesi e varia da 0 (alta corruzione) a 100 (bassa corruzione).

L’Italia registra purtroppo un significativo peggioramento negli ultimi anni scivolando dal ventinovesimo al sessantanovesimo posto tra il 2006 e il 2013, con un indice pari a 43, che la distanzia molto dai paesi europei limitrofi. La Danimarca è al primo posto, con un Cpi di 91; la Germania al dodicesimo, con un Cpi di 78; la Francia al ventiduesimo, con un Cpi di 71.

La discrepanza osservata tra gli indicatori diretti e quelli di percezione potrebbe dipendere dal fatto che la corruzione di grossa scala (grand corruption) è un fenomeno non facilmente rilevabile con indagini campionarie basate su esperienze dirette. Queste indagini sono più efficaci nel registrare le dinamiche di piccola corruzione e potrebbero non riuscire a mettere in luce il vero problema del nostro paese, e cioè quello della grande corruzione, come i recenti episodi dimostrano ampiamente.

Un’altra peculiarità dell’Italia emerge quando confrontiamo il livello di corruzione percepita con una misura di reddito pro capite. Messa a confronto con i paesi Ocse, l’Italia risulta essere un paese con un livello di reddito elevato dato il livello di corruzione percepita. Un reddito pro capite simile a quello di paesi che hanno una corruzione percepita molto più bassa della nostra (per esempio, la Nuova Zelanda). Allo stesso tempo, l’Italia è caratterizzata da un livello di corruzione percepita simile a quello di paesi con un reddito ben inferiore al nostro (per esempio, il Brasile).

Una possibile spiegazione è che l’Italia potrebbe essere un paese in grado di sopportare meglio di altri un elevato livello di corruzione (percepita), perché da noi quest’ultima frena la crescita molto più debolmente che altrove. In contesti in cui l’eccessiva burocrazia o il malfunzionamento delle istituzioni rischiano di ostacolare lo sviluppo, c’è chi sostiene che la corruzione possa favorire la crescita perché consente di snellire le pratiche e fluidifica il funzionamento dell’economia. Anche se fosse così, si tratterebbe comunque di una soluzione di ripiego. La soluzione migliore sarebbe certamente quella di sviluppare istituzioni e regole efficienti e trasparenti in grado di sostenere invece che ostacolare la crescita economica.

Il paradosso dell’Italia è che il livello di ricchezza del paese dovrebbe essere tale da permettere una transizione (già realizzata in paesi a noi simili) verso istituzioni efficienti che consentano di ridurre il livello di corruzione. Il vero ostacolo potrebbe dunque essere l’incapacità cronica dell’Italia di mettere in moto e gestire un meccanismo virtuoso nel quale istituzioni efficienti riducano il grado di diffusione della corruzione e questo permetta un’ulteriore crescita del paese. Forse gli Italiani, loro malgrado, sono troppo abituati a subire la corruzione e hanno sviluppato un alto grado di tolleranza. Forse proprio questa capacità impedisce loro di trovare la forza per cambiare passo nella lotta a questa piaga sociale.

Massimo Molinari

Articolo del 28/06/2014

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