CGIL Valle d'Aosta
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Funzione Pubblica, Igor De Belli confermato segretario


Il congresso di Funzione Pubblica si è svolto sabato 20 ottobre. È stato confermato alla guida del sindacato di categoria Igor De Belli. Insieme a De Belli faranno parte della segreteria Cristina Borgis e Pietro Trovero.
 
IL CONTESTO, LA NOSTRA STORIA, IL NOSTRO FUTURO
 
La terza rivoluzione industriale, la globalizzazione, la rivoluzione digitale, sono gli schemi più frequenti con cui sentiamo connotare i processi storici che stiamo vivendo. Le grandi trasformazioni epocali che attraversano la società, lette attraverso la lente della sociologia e della politologia, sono utili alla lettura ed all'analisi del contesto ed all'interpretazione dei cambiamenti degli assetti sociali, i cui risvolti attuali sono sotto gli occhi di tutti noi: frammentazione del tessuto sociale, sconfitta dei movimenti storici che perseguivano il grande obiettivo di una società intrisa di diritti collettivi, forse insufficientemente capaci di cogliere il bisogno individuale e di governare i processi evolutivi, anche conseguenti alle profonde trasformazioni tecnologiche della modernità. Immagino che la grande cesura col percorso storico di emancipazione umana, per come l'avevano immaginata i grandi pensatori della storia e l'avevano interpretata ampie masse, sia passata attraverso l'implosione del consesso sociale, in quanto la concezione della libertà individuale all'interno di quella collettiva (l'adagio della propria libertà che si ferma in un ipotetico confine con quella altrui), ha travalicato i limiti e ne ha prodotto i nefasti risultati attuali. E' come se l'enorme mosaico, che si andava componendo dalla rivoluzione francese, dall'illuminismo, passando per il liberalismo ed il socialismo, in una tensione immane verso i diritti ed una società nuova e più giusta, dopo aver sconfitto l'involuzione delle guerre nazionaliste ed i fascismi, si sia frantumato come un grande specchio in mille frammenti. Frammenti che oggi, la Politica, la Sinistra e/o i cosiddetti movimenti progressisti, non riescono a ricomporre, riuscendo a rispecchiarsi solo nel proprio proprio.
Sono floridi all'opposto ed anche molto dinamici, il pensiero e l'azione politica che, partendo dalla destra sociale, soggetto folcloristico e minoritario negli anni settanta se non correo con lo stragismo ed il terrorismo nero, hanno saputo nel tempo, creare quella miscela di idee pescate tra il nazionalismo storico ed illiberale sino all'anticapitalismo di marxiana memoria e di alcuni, ben mirati, diritti collettivi immaginati e rubati al movimento operaio. Il risultato di questa operazione, sciaguratamente banalizzata e trascurata dalla nostra parte, è sfociato nel cosiddetto Sovranismo, che ad oggi tanti consensi raccoglie. Perché ha le ricette per ricomporre l'individuo  e i frammenti suddetti, dandogli un orizzonte sicuramente poco attento alle complessità, ma capace di determinare/dettare sicurezze, utili a ricreare un consesso dell'io e del noi, su base primordiale, la tribù od il sociologico gruppo dei "pari" sino alla propensione massima possibile nella nazione (il più grosso gruppo dei pari possibile immaginabile e per esso invalicabile). Una visione certamente antistorica e appunto, primordiale; ma ad oggi purtroppo vincente e altrettanto pericolosa, poiché l'unico collante sociale su cui poggia è la paura, sentimento umano tra i più forti e soverchiante in determinati periodi storici: la tribù, appunto, la casta, il feudo e la nazione, tutti i momenti topici della storia, in cui l'umano si è chiuso nella sua dimensione di poche rigide regole, rifiutando la contaminazione e l'esplorazione, concentrandosi principalmente sui bisogni primari, come se fossero gli unici possibili.
Il trionfo della libertà individuale, senza la narrazione che quando la stessa sconfini, finirà per scontrarsi con quella dell'altro.
Gli esiti sono ben noti: troppe epoche sono storicizzate con le date di guerre, dittature e prevaricazioni assortite, dell'uomo sull'uomo, dell'uomo sulla donna, degli uomini sul proprio ambiente. Ci manca qualcosa di tutto ciò nel nostro quotidiano? Sarà pure l'effetto del bombardamento mediatico che stiamo vivendo e dell'informazione continua, probabilmente la storia ha una sua qualche ciclicità incombente, ma la cosa che ancora ci unisce e deve farlo fino in fondo è che, essere sindacato, ancora significa combattere ogni torto e ingiustizia che venga perpetrata. Ovunque. Dobbiamo rivendicarlo giorno per giorno che questo è il nostro modo di essere, ma dobbiamo anche essere perfettamente in grado di comprendere sempre ed in modo inequivocabile che la giustizia, così come all'opposto il torto, sono i risultati dell'agire umano, nessuno avendone l'esclusività. Che il torto appunto, è dell'uomo sull'uomo, sulla donna e sul nostro mondo. Che la paura e la sofferenza vanno combattute, ma non vanno rinchiuse in un contenitore, di qualsiasi tipo, perché appartengono a tutti e  ci rendono tanto più forti nell'individuarle e nel contrastarle, tanto più lo facciamo insieme, in una dimensione sempre più ampia e superiore, senza mai smarrire la complessità dell'esistenza. 
Voglio citare un passaggio del romanzo di Tomasi di Lampedusa, il Gattopardo, che a mio pare concentra tali premesse:
<Poco prima di giungere in cima al colle, quella mattina, Augusto e teresina iniziarono la danza religiosa dei cani che hanno presentito la selvaggina: strisciamenti, irrigidimenti, caute alzate di zampe, latrati repressi: dopo pochi minuti un culetto di peli bigi guizzò fra le erbe, due colpi quasi simultanei posero termine alla silenziosa attesa; Arguto depose ai piedi del Principe una bestiola agonizzante. Era un coniglio selvatico: la dimessa casacca color di creta non era bastata a salvarlo. Orrendi squarci gli avevano lacerato il muso e il petto. Don Fabrizio si vide fissato da due grandi occhi neri che, invasi rapidamente da un velo glauco, lo guardavano senza rimprovero ma che erano carichi di un dolore attonito rivolto contro tutto l'ordinamento delle cose; le orecchie vellutate erano già fredde, le zampette vigorose si contraevano in ritmo, simbolo sopravissuto di una inutile fuga; l'animale moriva torturato da un'ansiosa speranza di salvezza, immaginando di poter ancora cavarsela quando di già era ghermito, proprio come tanti uomini; mentre i polpastrelli pietosi accarezzavano il musetto misero, la bestiola ebbe un ultimo fremito, e morì; ma don Fabrizio e Tumeo avevano avuto il loro passatempo; il primo aveva provato, in aggiunta al piacere di uccidere, anche quello rassicurante di compatire.>
Cambiare il corso della storia sarà smettere di uccidere e di averne il piacere e aiutare oltre a compatire: un'utopia forse ma il più grande senso di giustizia che deve muovere i nostri principi, in quanto assunto imprescindibile, si può cercare, raccontare ed inseguire,perché un altro mondo deve essere possibile. Sennò è solo "produci, consuma, crepa" (CCCP Fedeli alla linea, dal brano Morire).
Il Gattopardo è inoltre il romanzo del " cambiare tutto per non cambiare nulla". Altra grande metafora storica, perché il cambiamento o è ricomposizione sociale protesa ad una profonda e complessa propensione alla giustizia, o non è. 
Dobbiamo quindi ripartire dal nostro essere associati in questa grande organizzazione che è la CGIL, con la consapevolezza di poter essere il soggetto politico in grado di ricomporre quel mosaico frantumato, con le nostre idee e con i nostri principi; un percorso di lunga portata, che dobbiamo sottrarre alle forze fintamente sociali. Un ruolo storico forse presuntuoso ed al di fuori delle nostre possibilità? Siamo il soggetto che questo orizzonte, anche se nelle sue sconfitte e nel trinceramento difensivo degli ultimi anni, non lo ha mai smarrito; abbiamo risorse umane imponenti, capacità coesive e strutture di socializzazione ed una memoria storica e culturale, sicuramente uniche e capaci di incidere su più livelli, a partire dal singolo ente ed azienda in una prospettiva più ampia, sino a proporre questo percorso all'interno del sindacalismo europeo ed internazionale. Unici quindi per promuovere le sfide alle storture e delle abiezioni della globalizzazione, soprattutto legate alla “finanziarizzazione” dell'economia, paradosso della moneta che riproduce se stessa illimitatamente col soddisfacimento di pochi, quando tanto è prezioso rivendicare politiche di redistribuzione della ricchezza, come perno centrale delle politiche e delle politiche sindacali, volte a ridurre le distanze economiche, con l'obiettivo di una società più giusta ed uguale; capaci di imporre, anche nella contrattazione (l'esempio a noi più vicino è l'Igiene ambientale), istanze allo sviluppo sostenibile, frontiera attuale della riconversione e dell'innovazione industriale e produttiva, volta a ricondurre ad uno sfruttamento armonioso ed in reciprocità di benefici, delle risorse naturali a noi utili, con l'ambiente in cui viviamo. In tal senso priorità e massimo sforzo innovativo e culturale dovremo, nella contrattazione come nella definizione delle nostre politiche, risolvere le contraddizioni lavoro/ambiente, coniugando sviluppo, benessere e progresso col pieno rispetto dell'ambiente, anelito ineluttabile per la salvaguardia del pianeta. 
In modo particolare noi della FP CGIL, possiamo essere al timone, per tradurre gli stessi concetti e gli stessi obiettivi, nella definizione dei servizi alla persona, appartenendo gli stessi ad un ecosistema, in cui si incontrano i servizi sanitari, assistenziali, amministrativi e della sicurezza (gli ambiti articolati del lavoro che sosteniamo e tuteliamo), che possa rispondere ai bisogni della collettività, in coerenza con le condizioni ed i diritti delle nostre lavoratrici e dei nostri lavoratori, ponendo la massima attenzione sull'asse della sicurezza, della salute e del riconoscimento economico, normativo e professionale. 
In quest'ottica, credo che il tema delle professionalità, sia il terreno ineludibile delle nostre attenzioni prossime ed immediate; troppo spesso abbiamo concesso al sindacalismo corporativo, di farsene (falso) interprete. Ritengo possa essere snodo cruciale del percorso di ricomposizione e coesione del lavoro, perché quando il riconoscimento delle proprie competenze e capacità professionali diventa pubblico, esso innesca un circolo virtuoso di socializzazione e contribuzione solidale al bene comune; prova inconfutabile è che, in un ambiente di lavoro salubre, di rispetto reciproco e reciproca riconoscenza, il lavoro si esprime in tutta la sua dignità, nelle sue passioni e nei suoi obiettivi e rifugge al lavoro alienato, fonte trascurata di disagio sociale e se tale, malattia endemica del tessuto sociale stesso. Un' investimento teorico/politico necessario per perseguire quell'ecosistema armonico e funzionale, capace di contaminare gli altri ecosistemi vicini. Riguardiamoci il Charlie Chaplin di "Tempi moderni" per  ricordarci, che un po' lì ci siamo fermati. 
Riconquistare passione per il proprio lavoro, può e deve diventare un obiettivo perseguibile, passando attraverso il riconoscimento e la liberazione della creatività; anche nel lavoro dipendente. Si può ribaltare il paradigma nello stesso campo del capitale, che per Marx creava alienazione e sfruttamento: se su queste contestuali analisi i movimenti degli anni 70 proponevano la liberazione dal lavoro, oggi dobbiamo rivendicare la libertà  del lavoro, se vogliamo raggiungere questo scopo. Questo è tanto più possibile nell'epoca attuale, anche in considerazione degli illimitati sviluppi tecnologici cui stiamo assistendo, utilizzandone gli strumenti per questo scopo (facendo la dovuta attenzione alle controindicazioni).
Si tratta insomma di rivendicare il lavoro di qualità, sorpassando le schiavitù di quello della quantità: i braccialetti degli operatori dell'ambiente di Livorno ed il gps delle nostre domiciliari, sono brutale strumento con l'ausilio tecnologico, di riprodurre il lavoro quantitativo e da catena di montaggio, anche attraverso il controllo, tipico di quel metodo di produzione. 
Sia negli ambiti del lavoro cognitivo e sia in quelli del lavoro materiale, dobbiamo appropriarci e conquistare gli spazi e i tempi del lavoro. Si rilegga "Lavorare in Fiat" di Marco Revelli, nei passaggi in cui gli operai liberavano la loro creatività in catena di montaggio, andando fieri del loro prodotto così finito. Forse non si credette che queste potevano essere conquiste dei lavoratori, rivendicandole nelle stesse piattaforme contrattuali; forse quel  "padrone", minacciando e poi eseguendo i licenziamenti collettivi (Fiat Torino 1980), temeva la possibilità di quella rivendicazione e di perdere susseguentemente il controllo dei mezzi di produzione e quindi del profitto. 
Bisogna scendere sul terreno dei sistemi di produzione, attraverso l'analisi del cosiddetto “Fordismo”, come sistema di produzione che passa dal lavoro che determina il prodotto e del “Toyotismo”, che passa dal prodotto che determina il lavoro. Categorie che tutt'oggi determinano le condizioni del lavoro, spesso in commistione. Anche nei nostri settori, richiamando gli esempi di Livorno ed Aosta di cui sopra, occorre ribaltare le condizioni, per cui è il lavoro che le deve dettare. Forse anche attraverso nuovi strumenti di lotta che possano scoprirsi su questo stesso terreno.
Suggestioni su cui sviluppare uno studio serrato ed una sperimentazione, tutta da definirsi.
Infine, il trionfo odierno del capitalismo finanziario, è stata la sconfitta anche di quella stessa classe imprenditoriale, che miope nel riproporre pedissequamente gli schemi produttivi classici, mirando perennemente al profitto, non è riuscita a comprendere i tempi, rifugiandosi nell'autoreferenzialità, escludendo il lavoro dalla partecipazione ai modi della produzione ed il compromesso che la storia suggeriva, cioè la redistribuzione della ricchezza. Nel nostro Paese, il solo Olivetti e pochissimi altri, capirono la portata degli eventi anzitempo, facendo quel tentativo e rimanendo meteore, lasciando alla classe operaia la sola strada del conflitto. Ma quelle esperienze e la loro memoria, a mio parere, possono entrare nel metodo e nel merito, delle nostre piattaforme programmatiche e contrattuali, ove possibile, sostenute dalla forza delle nostre argomentazioni. Un confronto è lecito con il modello tedesco delle relazioni industriali: il suo successo e la forza che ancora IG Metal dimostra, vedi ultima tornata contrattuale metalmeccanica, conforta che è un percorso da provare, anche se non può essere esaustivo: perché la nostra storia ed il tessuto economico/sociale con cui dobbiamo confrontarci, certamente ci dice che quel modello non può essere assunto nella sua completezza. 
Come metodo quindi, può essere certamente anche nostro, smontando il teorema Brunetta e successive modifiche rivendicando finalmente, se necessario anche in piazza e nell'esercizio del conflitto, il tema propositivo e non solo quello abrogativo. "La Carta dei diritti" è stata è deve continuare ad essere, il nostro grande cambio di paradigma della nostra azione e del nostro pensiero politico sindacale; deve proseguire, ampliarsi rafforzarsi e moltiplicarsi in ogni direzione. 
Non solo innovazione e sperimentazione.
Continuare con fermezza a difendere e sostenere lo stato di diritto e della democrazia, la necessità di quella rappresentativa come traguardo storico e di quella diretta come strumento. Spiegare che ogni passo indietro è deleterio per l'umanità e che ogni passo in avanti, è futuribile ma non immediato, perché l'esaltazione della democrazia diretta a prescindere, mostra le sue debolezze anche pratiche e, soprattutto nell'attuale contesto storico, svilisce il suo progetto utopico, scadendo in derive distopiche e di stampo orwelliano. 
Il lavoro e quello che non c'è, il precariato ed i giovani.
Bisogna confermare e ribadire con fermezza, che è lì dove si fanno le regole, nel pubblico come nel privato, che poggiano le responsibilità delle politiche attive inerenti, con i risultati conseguenti, quali essi siano. Occorre rivendicare con altrettanta fermezza che, se si esclude da questi luoghi il sindacato e con esso i lavoratori, i giovani ed i disoccupati, ci si deve prendere la piena responsabilità dei propri atti e eventuali fallimenti. L'informazione, il confronto (come superamento della concertazione), e l'organizzazione del lavoro, se continuerà a prevalere il concetto dell'esclusività dei centri decisionali, rimarranno momenti e luoghi sterili od autoreferenziali, se non avvieranno la possibilità della reale partecipazione dei corpi intermedi, innescando quei meccanismi dialettici e di sintesi propositiva, che sono il motore essenziale dell'innovazione e del cambiamento (e delle conseguenze del risultato). Occorre rivendicarlo sempre e ovunque, facendosi promotori e catalizzatori di partecipazione, fino a conquistarne il risultato. Da troppo tempo ciò non sta avvenendo e sicuramente è una delle concause dell'impoverimento economico ed anche culturale del paese.
Anche in questo capitolo, come nei precedenti, va rimarcata la necessità del massimo sforzo ed il pieno esercizio dei nostri strumenti basilari, la contrattazione, la mediazione ed il conflitto, nelle loro articolazioni necessarie.
In tutti i temi vanno sempre tenuti presenti, contestualizzandoli e potenziandoli, non solo per testimonianza ma come valore aggiunto e propulsivo, quelli di genere, dei diritti civili, dell'immigrazione, della sicurezza e della partecipazione democratica delle lavoratrici e dei lavoratori, come assi portanti della nostra vitalizzazione politica e culturale.
Da Bruxelles, passando per Roma, arrivando ad Aosta e viceversa.
Dal comparto unico regionale, passando per la sanità ed il socio assistenziale, per lo stato e la sicurezza, fino al terzo settore e l'igiene ambientale.
Tutti, pubblici e privati, perché eroghiamo servizi pubblici: proprio da FP CGIL, può ripartire quel processo di ricomposizione auspicato, perché siamo il tessuto connettivo della società. 
Presuntuosi probabilmente, sinceri per certo ed anche un po' idealisti, altrimenti non avremmo dedicato le nostre vite agli altri.
 
COME SI DECLINA TUTTO CIO' IN REGIONE E COME?
 
A partire da un assunto, ormai chiaro, inequivocabile e sicuramente condivisibile: che la Valle d'Aosta non è più quella ricca e ridente terra che ancora si vuole rappresentare; la crisi batte forte e perdura e non se ne vede un' uscita. In tutti questi anni hanno chiuso troppe aziende, mostrando la fragilità dell'apparato produttivo valdostano. Il sistema è stato viziato ed anestetizzato da uno spreco di risorse pubbliche immane, non certo ad interesse diffuso (tutti sappiamo dove, lo ripete ogni anno Ires Piemonte, ricordandoci che tutto sommato, essendo una piccola regione, con un uso razionale e corretto delle risorse, potremmo riprendere a stare meglio). Che per l'insipienza, la mediocrità e l'interesse personale della nostra classe politica (senza qualunquismo, ma si salvano veramente in pochi), non sono state più proposte dignitose politiche attive, si è portato al collasso il sistema del welfare sino alla sanità (sia pubblico che privato esternalizzato), si è destrutturato l'apparato complessivo dei servizi, con un precipuo intento clientelistico. Il ultimo comparto sicurezza di cui ci si pregia, rivendicandone una grandeur inesistente, è l'evidenza lampante della decadenza, restano le figurine in un album. 
Il risultato è stato l'esito delle ultime regionali. Con maggioranze reali, virtuali, ricomponibili e ribaltabili. Se ricordo bene in politica, come in economia, si chiama stagnazione. Se il sistema funziona ancora, è solo per il merito, le fatiche e l'irriducibilità dei nostri lavoratori a rassegnarsi e crederci ancora. Fino a quando?
Abbiamo finalmente chiuso il contratto collettivo regionale del comparto unico, dando alcune giuste risposte ai dipendenti regionali, degli enti locali e dei vari enti pubblici strumentali ed economici.
Lo abbiamo fatto perché abbiamo tenuto fermo il principio dell'allineamento a quello nazionale, economico e normativo. Abbiamo rivendicato quindi la forza del contratto nazionale, quando quello nostrano ha incominciato a non apparirci più come di miglior favore. Questo è il tema dominante che propongo per la stagione che compete al congresso; oltre aquello della mobilità, perché potrebbe sollevare molte delle fatiche e delle frustrazioni di cui abbiamo riferito. Altro tema necessario è una profonda riflessione sulle relazioni sindacali nel comparto, perché troppo sfugge alla evocata regionalità ed alla autonomia, molto rientra nell'ambito degli interessi politici. 
Per quanto suddetto e negli stessi termini, ne sono rimasti fuori i Vigili del fuoco ed il Corpo forestale, per cui ci batteremo fino in fondo.
In tal senso sul prossimo rinnovo, dovremo tenere conto delle istanze di chi si sente "internalizzato", come la motorizzazione civile e il personale non docente del sistema scolastico.
Problema dei rapporti inter-sindacali, da gestire, perseguendo l'unità fino in fondo, ma rimarcando le differenze quando necessario: credo si debba deciderlo insieme, dicendocelo in tutta evidenza. Va ricollocato nel giusto perimetro il rapporto tra confederali, rispetto quello con il Savt.
La sanità: ancora troppi precari anche se in riassorbimento, dopo gli accordi del 2012. Contrazione ormai perenne delle risorse economiche, a scapito delle risorse umane, degli strumenti e delle strutture. Riconfermati i 250 ml in bilancio come lo scorso anno,  quindi in aumento rispetto i tagli precedenti ma, come avevamo previsto, insufficienti per chiudere coerentemente il rinnovo contrattuale. Tant'è che l'azienda ha disatteso l'accordo sulla mensilizzazione dell'accessorio, pagandolo ad una tantum il prossimo anno ed azzerando così gli effetti degli aumenti. Indispensabile il percorso sul contratto integrativo in corso, per riaffermare le valenze della contrattazione. Amministrazione commissariata con scarsa predisposizione alle relazioni sindacali, quindi necessità di imporsi sul tavolo con forza e coerenza. Buon livello unitario, abbiamo ripreso supremazia di iniziativa sindacale.
Sulle conclamate carenze organiche, soprattutto dei medici, interessante dibattere sul metodo Bolzano per quanto riguarda il bilinguismo, nelle due classi di graduatorie.
Socio assistenziale: nel comparto unico, inadeguata organizzazione del sistema, in perenne tentativo di riorganizzazione ed unificazione dei livelli delle prestazioni regionali (disabilità e centri diurni) e locali (microcomunità): le motivazioni afferenti alla necessaria e condivisibile riorganizzazione, sono legate ad una dispersione di risorse economiche e funzionali ed un'incoerenza del sistema delle tariffe, con strutture in difficoltà cronica di risorse ed altre invece pleonastiche. È condivisibile un omogeneità ed uniformazione del sistema, per evitare gli sprechi e colmare le carenze, per riformare un sistema di servizi, oramai di contrastante qualità. Il personale è generalmente sotto organico e quindi sovra-impegnato (mi si perdoni il sottile eufemismo di sfruttamento), quindi in forte difficoltà di recupero psico fisico.
Riorganizzazione complessa, per cui abbiamo sempre reclamato la partecipazione sindacale sul percorso. Attualmente tutto in stallo come il governo. Ambito di intervento con il fronte sindacale tendenzialmente unito. 
Socio sanitario assistenziale privato: tagli costanti soprattutto su minori ed in parte disabilità ed infanzia, significativi seppur minori, su dipendenze e psichiatria. Più lineari le competenze di bilancio sugli anziani. I tagli si sono riflessi sull'organizzazione del lavoro, con riduzioni organiche, unilaterali sull'orario di lavoro e generalizzazione di rapporti spuri full time. Comparto ad alto tasso di vertenzialità, soprattutto in direzione delle grandi cooperative esterne, KCS, CODESS, QUADRIFOGLIO, EUROTREND, comprendendo anche EUKEDOS (che cooperativa non è). Difesa strenua della Retribuzione integrativa territoriale. Contrattazione collettiva di settore ancora in alto mare, credo potremmo essere pronti per un'eventuale mobilitazione nazionale.
Iniziative come sopra da intraprendersi anche in Società di Servizi, anche se sarebbe necessaria una profonda iniziativa di riforma della stessa, che avevamo cominciato a proporre alla precedente giunta e che sarà da proseguire e perseguire, nel momento in cui ne avremo una stabile. La società ha un impianto giuridico e societario estremamente fragile, per la corretta erogazione dei servizi convenzionati e sulle professionalità espresse. In caso di inconcludenza, occorrerà ipotizzare una ben articolata campagna vertenziale.
Statali: necessario assiduo lavoro di interazione informativa, rispetto tutto ciò che avviene a livello nazionale, viste le peculiarità del comparto, per cui gran parte della contrattazione avviene a livello centrale. Ciò non esclude comunque la nostra presenza costante nei tavoli di contrattazione integrativa locale di ente, in stretto rapporto con i nostri delegati. Identificazione di un coordinatore tra i nostri rsu, che faccia da tramite tra il nostro comparto, la segreteria regionale e quella nazionale, per riprodurre un sistema lineare di confronto (anche sul tema delle professionalità nel nuovo ccnl), utile a riunire centro e periferia. In tal senso è ugualmente importante la collaborazione attiva con i coordinatori nazionali, sui processi riorganizzativi locali che creano contenzioso con i lavoratori. Su questa iniziativa abbiamo condotto una dura lotta con la (ad oggi ex) direttrice dell'ITL, su mandato di un'assemblea in pre- agitazione, vinta con il suo spostamento. Il vissuto maggiore delle nostre lavoratrici e lavoratori è di totale abbandono degli uffici periferici. Credo possa essere importante creare una mobilitazione in questa direzione.
Igiene ambientale: ottime relazioni sindacali con il gestore di maggioranza (Quendoz) e di risultato sulla contrattazione integrativa e nazionale.
Gestore della discarica Valeco: lunga e faticosa attività di sindacalizzazione e definitiva realizzazione di un tavolo di confronto e di (difficili) relazioni sindacali. Prossimo lavoro sul cambio di gestione, per il passaggio del personale sul nuovo appaltatore, che dovrà anche costruire il nuovo impianto (ipotizzabile un tavolo politico per evidenti ragioni).
Carcere di Brissogne: mancanza del direttore oltre alle croniche problematiche degli istituti penitenziari. Necessaria una forte presenza nostra nelle campagne mediatiche, in sinergia con i nostri due iscritti/delegati.
Su gran parte degli ambiti suddetti sarà necessario implementare azioni e campagne con il confederale, con SPI, FLC e FILCAMS (ovviamente negli ambiti di confine).
Credo che in numerose situazioni, debbano e possano prevalere su quelle con CISL e UIL (e SAVT).
Ovviamente sul piano della strutturazione politica, propongo che si faccia perno su quanto ampiamente sostenuto nella lunga premessa.
Buon congresso a tutti e viva la CGIL!
 



Articolo del 20/10/2018

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