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Il Contratto di Collaborazione Coordinata e Continuativa a Progetto


Il contratto di collaborazione a progetto è stato introdotto nel nostro ordinamento con il d.lgs. 276/03 al fine di sostituire nel settore privato la collaborazione coordinata e continuativa.
Il contratto di lavoro a progetto è una forma di collaborazione coordinata e continuativa svolta in modo prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione per la realizzazione di uno o più progetti specifici determinati dal committente.
Come anche nella co.co.co., anche nel lavoro a progetto il collaboratore agisce in assenza di rischio economico, senza mezzi organizzati d’impresa e in funzione del risultato da raggiungere.
Il collaboratore a progetto, però, per essere tale deve svolgere la sua attività in base al progetto assegnatogli dal committente, gestendo autonomamente la propria attività;


il committente non deve esercitare su di lui potere direttivo o disciplinare (caratteristica questa del lavoro dipendente).

Tuttavia, l’attività del collaboratore è collegata funzionalmente al ciclo produttivo dell’impresa, per cui il
collaboratore deve coordinare la propria prestazione con le esigenze dell’organizzazione aziendale del committente.
Il coordinamento con l’organizzazione del lavoro del committente va realizzato in funzione del risultato finale da raggiungere, ma indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa.
Le principali norme di riferimento per il contratto a progetto sono: il d.lgs. 276/03 (articoli da 61 a 69) e l’art. 409 del Titolo III del codice di procedura civile; la legge di riforma previdenziale 335/95 con le successive modifiche e, in materia fiscale, il Testo unico delle imposte dirette unitamente alla legge 342/00 che interviene in materia di assimilazione fiscale al lavoro dipendente.


Il contratto a progetto dopo la legge 92/12
Il contratto di lavoro a progetto, sin dalla sua introduzione, ha creato molteplici controversie interpretative in merito al suo corretto utilizzo da parte delle imprese, che hanno invece molto spesso abusato di questa tipologia contrattuale in ragione del suo minor costo rispetto al lavoro dipendente.
La “riforma Fornero” (legge 92/12) ha introdotto alcuni paletti utili a circoscrivere il lavoro a progetto entro limiti più definiti e rendere più difficili gli abusi da parte dei datori di lavoro1.
La riforma è intervenuta in particolare sulla definizione e sui requisiti che deve avere il progetto ai fini dell’autenticità del rapporto di collaborazione (art. 61, comma 1, d.lgs. 276/03):


• Specificità del progetto:

il progetto e il suo contenuto caratterizzante devono essere descritti in maniera specifica e puntuale e nel contratto di collaborazione.


• Progetto e risultato finale:

il contratto a progetto deve avere un chiaro riferimento al risultato finale che il collaboratore
deve conseguire, e al quale il progetto va collegato. Questo risultato, oltre a essere individuato nel testo del contratto, è parte integrante del progetto e deve poter essere riscontrato, verificabile, oggettivamente misurabile. Pertanto, non è consentito inserire nel contratto un generico riferimento al risultato da raggiungere.


• Eliminazione del concetto di “programma di lavoro o fase di esso”:

in precedenza il rapporto di collaborazione poteva riguardare anche solo una fase di un’attività, a cui non era direttamente riconducibile un risultato finale. Adesso invece il progetto deve essere riconducibile
ad un risultato finale e non parziale.


• Progetto e oggetto sociale dell’impresa:

il progetto “non può consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente”. Questo è un principio importante che aveva già sancito la giurisprudenza in molte sentenze: i contratti a progetto per essere autentici non devono essere sottoscritti per lo svolgimento di attività coincidenti con l’attività principale (core business) normalmente svolta dall’impresa, ma devono essere caratterizzati da un’autonomia di contenuti e obiettivi.


• Compiti meramente esecutivi e ripetitivi:

il progetto non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi e ripetitivi che possono essere individuati dai contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL) stipulati dai sindacati.
La circolare n. 29/12 del ministero del Lavoro ha definito i compiti meramente esecutivi come quelli “caratterizzati dalla mera attuazione di quanto impartito, anche di volta in volta, dal committente, senza alcun margine di autonomia anche operativa da parte del collaboratore”; i compiti ripetitivi come le “attività elementari, tali da non richiedere, per loro stessa natura nonché per il contenuto delle mansioni nelle quali si articolano, specifiche indicazioni di carattere operativo fornite dal committente”.


La circolare ha indicato, a titolo esemplificativo e non esaustivo, sulla base della giurisprudenza intervenuta, le attività non inquadrabili nell’ambito di un autentico rapporto di collaborazione a progetto, in quanto contraddistinte da esecutività e ripetitività:
- addetti alla distribuzione di bollette o alla consegna di giornali, riviste ed elenchi telefonici;
- addetti alle agenzie ippiche;
- addetti alle pulizie;
- autisti e autotrasportatori;
- baristi e camerieri;
- commessi e addetti alle vendite;
- custodi e portieri;
- estetiste e parrucchieri;
- facchini;
- istruttori di autoscuola;
- letturisti di contatori;

- magazzinieri;
- manutentori;
- muratori e qualifiche operaie dell’edilizia;
- piloti e assistenti di volo;
- prestatori di manodopera nel settore agricolo;
- addetti alle attività di segreteria e terminalisti;
- addetti alla somministrazione di cibi o bevande;
- prestazioni rese nell’ambito di call center per servizi cosiddetti inbound.



Chi è escluso dal campo di applicazione della normativa sul lavoro a progetto
Sono esclusi dal campo di applicazione delle norme sul lavoro a progetto:
• gli agenti e i rappresentanti di commercio per i quali resta in vigore la disciplina specifica;
• le professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali esistenti al 24 ottobre 20032;
• le collaborazioni coordinate e continuative nelle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciute dal Coni;
• i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e i partecipanti a collegi e commissioni;
• i pensionati di vecchiaia;
• i collaboratori della Pubblica Amministrazione.


Sono inoltre escluse dalla norme sul progetto le prestazioni occasionali (art. 61, comma 2, d.lgs. 276/03) che nello stesso anno solare e con lo stesso committente hanno una durata complessiva non superiore a 30 giorni, nell’ambito dei servizi di cura e assistenza alla persona non superiore a 240 ore, e che prevedono un compenso complessivo non superiore a € 5.000.

Articolo del 18/05/2014

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