'Pensa a Cosa Mangi' - I Risultati della Campagna dello Spi Cgil e Federconsumatori
Si chiama "Pensa a cosa mangi” la campagna promossa a livello nazionale da Spi Cgil e Federconsumatori con l’obiettivo di mappare le abitudini alimentari delle persone anziane e predisporre azioni di educazione alla salute e di prevenzione dalle malattie derivanti da una cattiva alimentazione.
Martedì scorso a Roma sono stati presentati i risultati consegnati dalle sedi del sindacato in tutte le regioni d'italia. Nel complesso sono stati raccolti oltre 11.000 questionari, la risposta dei cittadini è stata dunque consistente dando un segno di quanto il tema interessi profondamente le persone e offra prospettive di azione per il sindacato stesso.
L’alimentazione assume, con il passare degli anni, un ruolo ormai sempre più importante perché la salute e il benessere dipendono in maniera determinante da cosa e da come mangiamo. Un sano regime alimentare e il mangiare con piacere possono aiutare a sentirsi più giovani e in forma.
I più recenti dati Istat forniscono alcune tendenze generali
La spesa per alimenti risulta stabile negli anni più vicini (2014 rispetto ai precedenti). Tra questi diminuiscono le spese per la carne, e aumenta il peso degli alimenti pronti o trasformati. In rapporto alla crisi economica, si evidenzia come sia in leggero calo il numero di famiglie che riducono la quantità o la qualità dei prodotti alimentari, attestandosi su una percentuale comunque assai elevata (dal 62% del
2013 al 59% del 2014). Le tradizionali difficoltà di accesso ai consumi delle persone anziane, di bassa condizione sociale, si accostano a quelle delle famiglie di giovani (con persona di riferimento intorno ai 35 anni), confermando indirettamente una caratterizzazione ormai riconosciuta delle “nuove povertà”, che associano giovani e anziani, Nord e Sud del Paese.
Indagini condotte a livello nazionale hanno dimostrato come la pesante crisi economica di questi anni abbia influito in modo pesante anche sulle abitudini alimentari degli anziani e delle famiglie in genere. Solo per fare alcuni esempi, il consumo di carne e pesce è programmato ormai su scadenza mensile e non più settimanale, così come frutta e verdura si acquistano alla chiusura dei mercati per approfittare degli sconti sulla merce in scadenza; inoltre sempre più spesso gli alimenti consumati quotidianamente sono soggetti più alla discriminante della convenienza che della qualità.
Rispetto alle differenze territoriali, la disponibilità a cambiare abitudini alimentari è compresa nel range tra 40% e 50% dei rispondenti (rispettivamente per il Centro e il Nord-est); analogamente, ma con
differenze più accentuate, si colloca la disponibilità a frequentare corsi (tra il 37,5% del Centro
e il 56,2% del Nord-est).
La spinta soggettiva sia alla frequenza di corsi sia in generale al cambiamento delle abitudini alimentari risulta legata alle relazioni; si osservano tra le persone che convivono con coniuge e/o con figli percentuali più alte di circa il 10% rispetto a chi vive da solo. Inoltre, è interessante il dato per genere delle persone intervistate: mentre la disponibilità al cambiamento delle abitudini è pressoché analoga (43,8% per gli uomini, 46,8% per le donne); è più accentuato l’orientamento femminile alla partecipazione a corsi sull’alimentazione (47,9%, contro il 37,8% degli uomini).
La condizione economica non incide significativamente sulla volontà di cambiare abitudini, mentre pare più rilevante sull’orientamento a frequentare corsi (dal 32,2% di chi ha pensioni tra 500 e 800 euro al 49,3% di chi riceve assegni superiori ai 1.500 euro).
Pur sommandosi a orientamenti, spinte (a volte obbligate) e motivazioni probabilmente diverse, la disponibilità a cambiare abitudini e, in particolare, a frequentare corsi pare legata positivamente al crescere della condizione economica: maggiore fiducia nel cambiamento e opportunità di realizzarlo sembrano connotare i pensionati con maggiori disponibilità economiche. Tuttavia, sono proprio le persone che hanno diminuito i pasti a causa della crisi, eccetto quelle con i redditi più bassi, le più motivate a cambiare abitudini e a frequentare corsi sulle tematiche dell’alimentazione, mostrando pertanto motivazioni al cambiamento legate sia a condizioni di impoverimento oggettivo sia al mantenimento del proprio status pur in una fase di crisi dei consumi famigliari.
Articolo del 18/11/2015
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